Mandato agli operatori pastorali

Cattedrale di Pennabilli, 28 settembre 2014
 

  1. Un regalo alla nostra Chiesa.

Un regalo bello, utile, variopinto. Davvero fortunata la nostra Chiesa a ricevere questo regalo!
Un regalo è sempre un segno d’amore; vorrei dire di più: attraverso il regalo il donatore dichiara la sua prossimità all’amato e il suo permanere nella prossimità.
Chi fa il regalo alla nostra Chiesa è il Signore stesso. Egli vuole esserle vicino e di lei prendersi cura.
Un regalo, una volta consegnato, non è più reclamato, è offerto per sempre!
Ebbene, il regalo che il Signore fa alla nostra Chiesa siete voi!
Voi catechisti: collaboratori per l’Iniziazione cristiana in sinergia con le famiglie dei bambini e dei ragazzi e con tutte le realtà della parrocchia (liturgia, carità, missioni); catechisti non solo per i piccoli, ma anche per i giovani e gli adulti, per un itinerario educativo al fine di raggiungere la pienezza della vita cristiana e una mentalità di fede.
Voi ministri straordinari dell’Eucaristia, che portate Gesù a chi è impossibilitato a riceverlo in Chiesa. Ci aiutate a tenere sempre alto l’amore per l’Eucaristia. Collaborate coi sacerdoti nell’accompagnamento dei fratelli e delle sorelle che sono nella sofferenza.
Voi operatori della Caritas: segno concreto dell’attenzione della comunità a chi è in difficoltà, mantenete viva, nella comunità e in ciascuno, il dovere della testimonianza della carità, il “fare tutto per amore”. Gli operatori della Caritas tessono una rete di amicizia fra le case della parrocchia, tengono contatti costruttivi e collaborativi coi servizi sociali.

 

Ci sono poi tante altre forme di ministerialità affidate ai laici che partecipano alla comunione ed alla missione della Chiesa: nel mondo della scuola e dell’educazione, del lavoro, della sanità, della famiglia, dell’animazione politica.
La nostra Chiesa riafferma la scelta dell’Azione Cattolica quale particolare forma di ministerialità laicale e associativa che, per il suo peculiare rapporto col Vescovo e con i presbiteri, assume stabilmente l’impegno della costruzione della Chiesa particolare e delle comunità locali.
La nostra Chiesa poi riconosce e accoglie le diverse aggregazioni ecclesiali che rispondono alla normativa canonica e ai criteri di ecclesialità indicati dai Vescovi italiani, valorizzando il loro apporto nel progetto pastorale diocesano e parrocchiale.
Un grande dono sono i ministeri istituiti: lettori e accoliti, rispettivamente a servizio del “libro” (la Sacra Scrittura) e dell’altare. Lettori e accoliti sono resi tali mediante una istituzione vera e propria, sancita da un rito, con una qualificata stabilità ed una “missio” canonica.

  1. Quanti doni! Quanta ricchezza! Che varietà!

Oggi – si potrebbe dire – è la festa dei carismi e dei ministeri. O meglio, si potrebbe dire che tutta la vita cristiana è ministeriale. Il servizio è una categoria ed uno stile che necessariamente configura i discepoli di Gesù. Consiste nel pensarsi “dono”; sì, dono gli uni per gli altri!
La ministerialità, il servizio, hanno caratteristiche qualificanti:
– l’umiltà; è bandita ogni presunzione, ogni aspirazione al “mettersi in mostra”, ogni forma di potere. Il Signore sa e conosce i nostri passi.
– la gratuità; non pretendere riconoscimenti, battimani, mance… “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Spargete buon umore!
– la gioia; il Signore ama chi dona con gioia. La gioia ha una radice profonda, talvolta ricoperta da strati di dolore, di sofferenza e di fragilità. È la gioia che viene dall’incontro con la buona novella di Gesù: Evangelii gaudium.

  1. Festa del rientro.

Sì, è festa perché è bello ritrovarsi. Davvero questa sera siamo in tanti!
Ho usato la parola “rientro”. Intendo rientro dalle vacanze, da una prolungata assenza, certo, ma qui il termine assume un più alto significato. Si “rincasa”. Si torna a casa dopo un viaggio. Si torna dopo aver compiuto una missione. Si torna – a volte – dopo aver “sbattuto la porta”… Metafora del nostro ritorno a Lui! Ed è festa grande.

Festa dei Santi Cosma e Damiano

S.E. Mons. Andrea Turazzi

Lunano, 26 settembre 2014

 

Mt 10, 28-33

Nel giorno in cui ricordiamo i nostri patroni Cosma e Damiano ritorna la parola di Gesù: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo… chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio». Testi e detti di Gesù che costituiscono un invito pressante di annunciare il Vangelo senza paura. Certo, la prospettiva del martirio fa paura: ci sta! Ma anche il semplice “rispetto umano” ci può ammutolire. Come la paura di apparire “retrò” e di essere canzonati da chi si ritiene moderno. Se non abbiamo queste paure, riconosciamo che si può restare muti per avvilimento: “Tanto quel che dico non conta niente! A che pro!!!” Se sapessimo il cammino che anche solo una parola può fare in un cuore! Anche Isaia, il profeta, fa l’esperienza del “blocco” davanti alla missione ricevuta di annunciare. Ad Isaia faceva problema la coscienza del suo peccato: «Ahimè, Signore, sono uomo da labbra impure» (cfr. Is 6, 5). Quando ci metteremo ad annunciare se aspettiamo ad essere puri come angeli? Non verrà il serafino a purificare le nostre labbra, ma una voce grida dal profondo del nostro cuore e l’incalza: “Che ne è del tuo Battesimo? Che te ne fai della Cresima che hai ricevuto? E dell’Eucaristia?”. Questi doni non sono sufficienti a togliere la paura per annunciare il Signore? Gesù proclama: «Io ho parlato apertamente al mondo… E nulla ho detto in segreto» (Gv 18,20).

San Giovanni Crisostomo dà una simpatica interpretazione di questo versetto. Egli vede la predicazione di Gesù come un sussurrare all’orecchio della gente dei piccoli villaggi di Palestina, perché poi a tutto il mondo arrivi il grido dei discepoli! E questi testimoni avranno la missione appunto di gridare dai tetti, cioè “in tutta sicurezza e libertà” (cfr At 28, 31). “L’amplificazione sonora” del Vangelo è adempimento della promessa di Gesù stesso: “Voi farete cose più grandi di me” (Gv 14, 12).

Giovanni Paolo II ci ha ripetuto molte volte con forza: “Non abbiate paura!”. No, non temiamo di annunciare Gesù; non rinchiudiamo nel segreto la nostra fede; sfidiamo la società che vorrebbe relegare la fede nel privato. La nostra fede è luce per il mondo… Ed una luce, pur piccola che sia, si vede da lontano.

Periodico Montefeltro Settembre 2014

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Pieve di Carpegna, 21 settembre 2014

Potremmo partire dall’atteggiamento “fastidioso” del protagonista della parabola che paga gli operai in modo così singolare.
È evidente che non si tratta di un insegnamento sulla giustizia retributiva. Allora è necessario, per capire il vero insegnamento, saper distinguere fra gli elementi funzionali al racconto parabolico – che non sono l’insegnamento – e il centro dottrinale della parabola stessa.
Per sé non è una parabola sulla vocazione alla fede e neppure su quella alla vita religiosa (del tipo “Dio chiama a tutte le ore”); infatti, la disputa tra gli operai non verte sull’ora della chiamata, ma sul salario accordato.
Non è un’affermazione di principio sull’eguaglianza di tutti davanti a Dio: ciò che balza agli occhi è proprio la loro diseguaglianza che riceve un identico trattamento.
Non è l’affermazione dell’arbitrio della Volontà divina (in realtà Dio appare “cristianamente misericordioso”), né una massificazione del Paradiso, poiché la parabola ha una chiara posizione “storica”, la vicenda infatti si svolge “al di qua”.
Piuttosto, la parabola illustra, in forma narrativa, il concreto e sorprendente agire di Dio nella storia, allorché, in Cristo e per mezzo di Lui, offre agli uomini la sua grazia, la sua prossimità.
Israele ben conosce la “stranezza” di Dio! (cfr. Is 55, 6-9). Dio non è coercibile dentro le nostre logiche e i nostri sistemi. È il completamente diverso!
Avrebbero dovuto saperlo gli ascoltatori di Gesù. Sembrano troppo attaccati ai loro meriti.
Matteo lascia intravvedere anche la reazione all’interno della prima comunità cristiana di provenienza giudaica, quando vede l’innesto nel nuovo popolo messianico di tanti pagani. La salvezza operata da Dio attraverso Gesù esclude ogni credenziale, primogenitura, diritto di anzianità di servizio…
Certamente Dio ha scelto di manifestarsi piano piano nella storia e lo ha fatto attraverso un popolo, un popolo eletto e teneramente amato (cfr. Is 43, 1-7); ma ora, attraverso Gesù, la grazia è per tutti, “pura grazia”, dono gratuito della libertà e sovranità di Dio.
Tale grazia non può che essere la stessa per i primi (Israele) come per gli ultimi (peccatori e pagani). Ciò che conta è aprirsi al dono. Lo devono fare i primi come gli ultimi, con la fede.
Ciò che conta è che il dono venga “convertito” in lavoro per la vigna. Per questa vigna il padrone esce sulla piazza per ben cinque volte!
Potremmo concludere soffermandoci sullo “sfogo” del padrone-protagonista della parabola: «Sei forse invidioso se io sono buono»?”
Che cosa risponderemmo? Da parte mia – peccatore e ultimo – rispondo: “Sì, Signore, io sono contento se tu sei buono! Sono contento che tu lo sia per me e che tu lo sia per i miei fratelli”. Non mancano – anche ai nostri giorni – dei cristiani che sembrano infastiditi dal messaggio della Misericordia; temono per il prestigio della loro virtù e del loro essere “in regola”.
“Signore, accolgo il tuo dono come un bambino”!

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Petrella Guidi

21 settembre 2014

È un giorno importante per il nostro borgo. Si fa festa per l’avvenuto restauro della chiesa, luogo dell’incontro fra noi per la preghiera, ma soprattutto luogo nel quale il Signore ci fa dono di una sua particolare presenza.
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? – pregava Salomone nel giorno della dedicazione del tempio a Gerusalemme – Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita! (…) Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: là sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo» (1Re 8, 27-29).
Quando Giuda Maccabeo, dopo la profanazione avvenuta con l’occupazione pagana, rientrò nel tempio lo trovò «desolato, l’altare profanato, le porte arse e cresciute le erbe nei cortili come in un luogo selvatico e gli appartamenti sacri in rovina», lui e i suoi uomini «si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero di cenere, si prostrarono con la faccia a terra e alzarono grida al cielo». Allora coi suoi uomini e i sacerdoti restaurò, purificò e consacrò di nuovo il tempio. Ci fu grande gioia: «Tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra e adorarono e benedirono il Cielo… celebrarono la dedicazione dell’altare per otto giorni e offrirono olocausti con gioia (…). Poi ornarono la facciata del tempio con corone d’oro e piccoli scudi» (1Mac 4, 36ss).
Da Gesù in poi si adora Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23). Bastano due o tre riuniti nel suo nome per godere della sua presenza (cfr. Mt 18, 20). Tuttavia, il luogo della preghiera, il luogo dove si celebra l’Eucaristia e – quando è possibile – con onore la si conserva, è santo.
Le pietre che lo formano sono il segno del tempio vivo che è la Chiesa e di cui noi siamo le pietre vive (cfr. 1Pt 2, 5), cimentate dal nostro comune riferimento a Cristo che è il capo e noi sue membra, riunite in fraternità.
Sì, in questa prospettiva la chiesa di pietra è anche relativizzata. Infatti «Del Signore è piena la terra» (cfr. Sal 119, 64). Il Signore abita nella nostra interiorità. Che dire poi della presenza del Signore nella nostra famiglia: la famiglia è la “piccola Chiesa domestica” (cfr. LG 11). E tuttavia, la chiesa di pietre (il tempio) è come un sacramento, cioè un segno efficace della grazia divina; segno efficace del suo desiderio di stare con noi e di attirarci a lui.
Il tempio è segno esterno, visibile, bello, aperto, accogliente, perché tutti sono candidati all’incontro col Signore. I nostri padri hanno voluto questo tempio, hanno scelto il luogo più attraente possibile, hanno impegnato risorse e, soprattutto, l’hanno frequentato con fede. Ce lo hanno lasciato perché sia un segno per noi, una eredità che ci responsabilizza. Questa chiesa sopravvivrà a noi e continuerà ad essere testimonianza. Ci sovviene una frase di Gesù non senza una qualche amarezza: «Quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
Che sia oggi per tutti noi una occasione per un riesame della nostra vita e delle nostre convinzioni. Che ne è della nostra fede? La nutriamo con la preghiera quotidiana? La fortifichiamo con la partecipazione domenicale all’Eucaristia, santificando il giorno del Signore? La approfondiamo facendo un serio cammino di fede (formazione e lettura della Parola di Dio)? Dal restauro della chiesa di pietra alla riforma della nostra vita cristiana.

“Nuovi stili di vita”

Diocesi di San Marino – Montefeltro
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Comunicato stampa

La Diocesi di San Marino – Montefeltro organizza, venerdì 26 settembre 2014 alle ore 21,00 presso il teatro parrocchiale di Novafeltria, un incontro pubblico sul tema “Nuovi stili di vita”.

Si tratta di una proposta che ha lo scopo di far emergere il potenziale che abbiamo, come persone e comunità, di poter avviare il cambiamento a partire da scelte e azioni quotidiane, diventando sempre più cittadini solidali e responsabili.

I nuovi stili di vita possono essere gli strumenti che la gente comune ha nelle proprie mani per poter cambiare la vita quotidiana e anche per poter influire sui cambiamenti strutturali che necessitano delle scelte da parte dei responsabili della realtà politica, sociale ed economica.

I “Nuovi stili di vita” ci consentiranno di vivere un nuovo rapporto con la realtà che ci circonda:

• Nuovo rapporto con le cose: dal consumismo al consumo critico e responsabile, dalla dipendenza alla nuova sobrietà.
• Nuovo rapporto con le persone: recuperare la ricchezza delle relazioni umane, fondamentali per la felicità e il gusto della vita.
• Nuovo rapporto con la natura: dall’uso indiscriminato della natura alla responsabilità ambientale.
• Nuovo rapporto con la mondialità: passare dall’indifferenza alla solidarietà, dall’assistenzialismo alla giustizia sociale.

Ci parlerà di tutto questo p. Adriano Sella, Coordinatore della Commissione pastorale Nuovi Stili di Vita della Diocesi di Padova.

Pennabilli, 17/09/2014

Laboratori di Tana Libera Tutti

Saluto al primo incontro de “I lunedì della politica”

Parrocchia di Borgo Maggiore, 15 settembre 2014

Saluto di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Grazie alle aggregazioni che hanno voluto la ripresa dei “Lunedì della politica”, presso la parrocchia di Borgo che ospita. Grazie soprattutto ai docenti e ai partecipanti. Auspico che una iniziativa come questa possa estendersi ad altri centri della diocesi: in Val Conca, Val Foglia, Val Marecchia… Ritengo tale iniziativa fondamentale per la nostra formazione. Con la Dottrina Sociale viene tracciato il quadro di un umanesimo integrale e solidale. Vi si affrontano, via via, grandi temi: la persona umana (suoi diritti e doveri), il principio del bene comune, il principio di sussidiarietà e di solidarietà, il lavoro, la vita economica, ecc… Quest’anno il grande tema della famiglia. Questa iniziativa dei “Lunedì della politica” è indispensabile se si vogliono far sbocciare nuove vocazioni alla vita politica, o meglio, “persone nuove” per la politica. L’urgenza di formare “uomini nuovi” viene prima dei programmi e prima della protesta (pur legittima contro il malcostume che anche in questi giorni è di scena). Molti cattolici considerano ancora l’economia, la politica, di non interesse immediato per la loro fede. Si lascia ad altri l’iniziativa. Occorre reagire: la diocesi, pur coi suoi limiti e l’esiguità delle risorse, si dà da fare per far crescere adulti nella fede, perché le ragioni della fede si facciano ragioni di vita. Non si tratta di suggerire militanza in questo o quel partito politico, ma di sostenere e formare cristiani capaci di operare nella città degli uomini con un forte senso morale e civile. Ai cattolici – si dice – non mancano idealità, ma a volte la competenza dell’agire sociale e politico. Per impegnarsi per gli altri, per il bene comune, si devono affinare concetti, acquisire strumenti di analisi, capire i meccanismi della società e poi intervenire in essi. In altre parole, tradurre le esperienze in “cultura” e “pensiero”. Non voglio rubare altro tempo. Considerato il tema di quest’anno, la famiglia, vorrei mettere davanti a tutti l’icona – sempre sorprendente – delle nozze di Cana. In particolare mi soffermo sul fatto che Maria, la mamma di Gesù, non ci sta che dal “più” si cali al “meno”. Quando s’accorge che sta per finire il vino, ottiene l’intervento di Gesù e il vino è ancora più abbondante dell’inizio e più buono! Di fronte al progetto di società al quale vogliamo contribuire noi siamo per un “di più”: una sessualità per la relazione d’amore, un amore che si apre alla reciprocità dei sessi, un amore che dice “sì” alla vita, che assume responsabilità… La famiglia come scuola di umanità, di socialità, di santificazione e grembo di vita ecclesiale. “L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia. Spetta ai cristiani annunciare con gioia e convinzione la buona novella della famiglia”. È una buona notizia!

Festa del Baeto Domenico Spadafora

Omelia del Vicario generale   Mons. Elio Ciccioni

Santa Maria in Reclauso, 14 Settembre 2014

 

Oggi, con la Chiesa universale celebriamo la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, festa che si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo e al ritrovamento da parte di S. Elena madre di Costantino, della Croce alla quale fu appeso Cristo per la redenzione dell’Umanità.

Inoltre questa Comunità di Montecerignone celebra la festa del Beato Domenico, il Domenicano che nel 1491 si è stabilito in questo nostro Territorio per testimoniare il Vangelo ed essere maestro spirituale delle nostra gente, compito che svolse per 30 anni con la preghiera, la penitenza e l’intensa predicazione.

Per questo, la festa del Beato riveste una importanza rilevante nel contesto della nostra vita religiosa e sociale e il legame delle Comunità cristiane, in particolare di questa zone con il Beato è un legame forte, sentito e testimoniato dalla presenza delle Autorità civili e militari che saluto cordialmente, dalla presenza delle Comunità cristiane vicine, accompagnate dai loro Pastori che con me celebrano questa Eucaristia alle quali va il mio ringraziamento. Dai pellegrini e devoti qui convenuti da varie parti anche lontane c’è addirittura un gruppo di Randazzo in Sicilia, patria del Beato Domenico, per onorarlo e pregarlo e ai quali va il mio Benvenuto.

Oggi pertanto ci ritroviamo riuniti per celebrare non un’idea, non un ideale di vita, non un’iniziativa, e neppure un anniversario, ma una persona, che, grazie alla sua adesione a Cristo, ha maturato un forte senso civico, un’umanità compassionevole, una spiccata sensibilità per la giustizia ed un’attenzione amorosa alle necessità dei fratelli.

Ma quale è stata la caratteristica di questo Beato? L’essere educatore delle nostre popolazioni. Egli si è fermato qui per educare soprattutto i ragazzi e i giovani ai valori del Vangelo.

Dunque egli oggi è doppiamente attuale.

Primo perché i valori del vangelo sono per sempre e per tutti gli uomini, secondo, perché come più volte è stato sottolineato, oggi viviamo in una emergenza educativa dal punto di vista spirituale, morale sociale ed è più che mai necessario che qualcuno torni ad essere educatore non solo con le parole, ma con una testimonianza di vita.

Diceva già Paolo VI che oggi il mondo non ha bisogno di maestri e non li ascolta, ma se li ascolta è perché essi sono testimoni.

Ma Cristianamente non si è maestri e testimoni a prescindere da Gesù Cristo e dal suo Vangelo. Ecco perché la festa della Esaltazione della Croce e quella del Beato Domenico che celebriamo, non sono contraddittorie, ma complementari. Noi capiremo e accoglieremo gli insegnamenti del Beato Domenico soltanto nella misura in cui vedremo la sua vita plasmata dalla Croce. Per noi oggi, giunge l’occasione di una seria riflessione sulla croce.

 

Come si fa ad esaltare la croce? Il dolore non è mai da esaltare, né, è bene ribadirlo, ha in sé una valore positivo.

Davanti al dolore dell’innocente, davanti alla sofferenza inattesa, davanti ai tanti volti di persone che hanno avuto la vita stravolta dalla tragedia di una malattia o di un lutto, le parole diventano fragili e l’annuncio del Vangelo si fa zoppicante.

L’unica vera obiezione all’esistenza di un Dio buono, così come Gesù è venuto a svelare, è il dolore dell’innocente.

Molti dei dolori che viviamo hanno la loro origine nell’uso sbagliato della nostra libertà o nella fragilità della condizione umana. Ma davanti ad un bambino che muore anche il più saldo dei credenti vacilla.

Al discepolo il dolore non è evitato, e non cercate nella Bibbia una risposta chiara al mistero del dolore (Ma davvero cerchiamo una risposta? Noi vogliamo non soffrire, non delle risposte!).

Non troviamo risposte al dolore, troviamo un Dio che prende su di sé il dolore del mondo. E lo redime.

La croce non è da esaltare, dicevamo, la sofferenza non è mai gradita a Dio, Dio non gradisce il sacrificio fine a se stesso. La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore.

La croce è epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi.

Fino a questo punto ha voluto amarci, perché altro è usare dolci e consolanti parole, altro appenderle a tre chiodi, sospese fra il cielo e la terra.

Esaltare la croce significa esaltare l’amore, esaltare la croce significa spalancare il cuore all’adorazione e allo stupore.

Innalzato sulla croce (Giovanni non usa mai la parola “crocifisso” ma “osteso” cioè mostrato) Gesù attira tutti a sé. Egli stesso dirà: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.

E al discepolo è chiesto di essere consapevole di questo amore e di accoglierlo portando con Cristo la propria Croce. (Chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Portare la propria croce significa portare l’amore nella vita, fino ad esserne crocifissi.

La croce non è sinonimo di dolore ma di dono, dono adulto, virile, non melenso né affettato.

E il Beato Domenico ha portato la Croce, in tanti modi, alcuni conosciuti e che trapelano dalla sua biografia, come quando fu accusato di leggerezza morale, altri rimasti nel segreto della sua anima, ma legati alla vita comune, al rapporto con le persone, alle difficoltà ambientali e chi sa quante altre cose.

La festa del Beato Domenico costituisce, allora, un’occasione propizia per una pausa di riflessione. Diventa un invito ad innalzare lo sguardo verso l’alto per ricordarci che non siamo i padroni e i fautori assoluti della nostra vita e del nostro destino, ma che essi sono illuminati e trovano pieno sviluppo solo nell’incontro con il Signore Gesù, Salvatore dell’uomo.

La solennità del Beato Domenico ci ricorda che la Verità ed il messaggio evangelico non sono estranei all’uomo e alla sua realizzazione, ma, al contrario, sono necessari per arginare il decadimento dell’identità culturale e del quadro valoriale e per superare il forte individualismo che corre il rischio di uccidere e devastare la nostra società. Ed è un invito per noi a prendere sul serio quello che celebriamo. Riconosciamo che la società è corrotta, che i valori del Vangelo sono stravolti, che i nostri bimbi e i nostri giovani non conoscono il più elementare contenuto del cristianesimo, che nelle famiglie non si prega più, che i bimbi iniziano il catechismo senza sapere fare il segno della croce, ma cosa facciamo per arginare questa deriva?

Quale esempio diamo? E’ arrivato il tempo di fare sul serio: nel mondo migliaia e migliaia di nostri fratelli cristiani vengono uccisi perché sono cristiani e non vogliono tradire Gesù Cristo, noi cosa saremmo capaci di fare, in un contesto simile, se non siamo capaci di dire a un figlio che sbaglia ad abbandonare la fede, se non sappiamo insegnare a un nipotino le prime preghiere, se abbiamo paura di dire che certe scelte contro la vita sono peccato, che senza Dio l’uomo costruisce la sua rovina? Cosa faremmo noi davanti alla persecuzione, se chiusi nel nostro egoismo non ci accorgiamo dei poveri che ci vivono accanto, di chi non arriva a fine mese perché hanno perso il lavoro? Se anche noi in nome dei diritti delle persone, della modernità a cui bisogna adeguarsi, chiediamo un cristianesimo sempre più permissivo e accomodante senza preoccuparci della Verità? Il Signore ha posto ai suoi discepoli una domanda che è più che mai attuale. “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra?

Il beato Domenico di cui oggi celebriamo la festa, ci aiuti a perseverare nella Verità che è il Signore Gesù e ci aiuti a rimanere nell’Amore di Cristo come Lui è rimasto nell’amore di Cristo, perché un giorno possiamo raggiungerlo per condividerla stessa beatitudine nella casa del Padre. Così sia.

Mandato Inizio Anno Pastorale 2014